di Alessandro Serena
Il circo è da sempre un caleidoscopio, un prisma sfaccettato dal quale si sprigionano luci di ogni sfumatura di colore. Non solo per la varietà delle discipline, ma anche per la molteplicità delle sue espressioni, per il ventaglio di modelli sociali che propone e perché è un mezzo dal quale scaturiscono attività e idee che possono migliorare la vita delle persone.
Un impatto sociale notevole, da molti punti di vista. Il circo è un mondo tanto affascinante quanto opaco, che richiama alla mente immagini e sensi non solo diversi tra loro ma spesso anche antitetici: un universo di magia e un cosmo di confusione, il luogo della fantasia anarchica e lo spazio della disciplina più rigorosa, lo sfarzo ostentato e la povertà di chi è sempre in viaggio. Questo perché il circo, per sua natura, è multiplo. Non solo contiene al suo interno numerose tecniche, dalla giocoleria all’acrobazia passando per la clownerie, l’addestramento di animali e moltissime altre ancora, e disparate forme espressive (la performance fisica, la musica, la danza…), ma queste vengono anche portate in scena da artisti di ogni tipo fisico (fino ai freaks) che provengono da tutto il mondo, realizzando un grande melting pot di culture e identità. A contribuire ulteriormente a queste sensazioni contrastanti, il circo si è sviluppato in contesti geografici, economici e politici differenti, assumendo di volta in volta caratteristiche peculiari che hanno prodotto modelli ed estetiche molto lontane tra loro. Anche dal punto di vista dell’impresa si è configurato in modi assai diversi. Con diversi impatti sociali. Dal nucleo famigliare (forse il modello più resistente) al “Circo di Stato”, passando attraverso cooperative e grandi multinazionali. Un caleidoscopio in continuo mutamento che anche grazie alla sua essenza cangiante restituisce sempre la meraviglia allo spettatore. Inoltre, è un’arte che incarna il cambiamento: il successo del circo contemporaneo, che in anni recenti ha sorpreso il panorama sia dal punto di vista artistico che produttivo, è solo l’ultimo eclatante esempio della sua natura metamorfica. Ma la cosa interessante è che nonostante o grazie a queste sue caratteristiche il circo finisce per essere inclusivo, aperto o almeno indirizzato a tutti, aggregante, tanto da diventare, soprattutto nelle sue ultime declinazioni, in qualche modo catalizzatore di socialità. Ciò emerge in particolare nelle tante attività parallele all’impresa (o che diventano in qualche modo “terzo settore”) che si occupano di supporto a categorie fragili, secondo diverse accezioni del termine.
Dal classico al contemporaneo. Modelli sociali
A fronte della molteplicità del circo, è innegabile che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi in Italia e in buona parte dell’Occidente la sua immagine classica sia quella del tendone, minuscolo o mastodontico, che arriva in città con il suo carico di stupore. Lo status dei girovaghi, dopo secoli di precarietà e messe al bando, un secolo fa diventa invidiabile, pur con disparità. Nel 1903 lo storico francese George Strehly fotografa la situazione nel saggio L’acrobatie e les acrobats individuando tre classi sociali: i saltimbanchi, che si esibiscono nelle piazze e nei mercati sono il proletariato; i performer legati a un complesso itinerante sono la borghesia; le stelle che lavorano nei teatri di varietà o nei grandi circhi stabili delle più importanti capitali rappresentano l’aristocrazia del mestiere. Ancora una volta il circo come specchio del mondo. Di certo nel Vecchio Continente, dove spesso l’economia è retta da famiglie che si tramandano l’azienda di generazione in generazione, anche le compagnie di circo assumono le sembianze di imprese a conduzione parentale. Una sorta di aristocrazia della pista, con dinastie storiche che resistono nel corso dei decenni, talvolta dei secoli: Bouglione e Grüss in Francia, Krone in Germania, solo per citare le più importanti. In Italia saranno soprattutto gli Orfei e i Togni ad entrare nell’immaginario collettivo. Ma il modello è universale e non bada alle dimensioni. Complessi familiari di ogni misura e di ogni livello che con tendoni e carrozzoni piccoli o grandi girano per l’Europa creando di fatto un microcosmo anche dal punto di vista antropologico: un grande insieme di tribù che si intrecciano tra loro e che hanno poca tendenza ad aprirsi al mondo. La famiglia circense del Novecento ha qualcosa in comune con quelle degli agricoltori: la cura degli animali, il rapporto con gli agenti atmosferici e soprattutto il fatto di avere il luogo di lavoro che è lo stesso di quello della vita. Esiste persino un gergo “furbesco” diffuso in tutto il continente. Ma persino i saltimbanchi pian piano si strutturano e in tutto il mondo nascono importanti associazioni di categoria; in Italia sono da citare almeno lo storico Ente Nazionale Circhi e la più recente Associazione Circo Contemporaneo Italia. È interessante notare che, come spesso accade, guardando al passato si incontrano tante analogie con il nostro tempo. In particolare, le giovani compagnie di artisti di strada che di recente hanno deciso di dotarsi di un tendone stanno di fatto ripercorrendo, all’alba del terzo millennio, lo stesso cammino delle famiglie del circo tradizionale. Sono numerosi i punti di contatto. Molti capostipiti di dinastie circensi classiche erano stati musicisti ambulanti che poi, per un motivo o per l’altro, decidevano di strutturarsi in piccoli gruppi di artisti itineranti, comprendenti giocolieri, acrobati, eccetera che si esibivano in arene o chapiteau. Anche la rilevante presenza nelle origini delle stirpi del tendone di sportivi, “palestranti” che decidono, o si trovano, ad entrare in pista. Pensare che molta parte del circo contemporaneo italiano nasce alla Reale Società Ginnastica di Torino, con la Flic e poi la Vertigo. Come a ricordare che il circo è da un lato rigore e disciplina (lo sport), dall’altro, creatività e fantasia. Le nuove leve del circo contemporaneo si trovano ad agire all’interno di un’immensa galassia, che ha mille facce, mille livelli, mille fruizioni. Interessa un target vastissimo: dalle famiglie ai giovani, dalle culture urbane a quelle new age. Lascia ad occhi sgranati bambini ed intellettuali. Si può godere sotto un tendone, in un teatro d’opera, all’aperto, in una vecchia fabbrica. Impossibile definirne il format, perché varia dall’estremamente piccolo (un singolo giocoliere che raduna qualche spettatore in un parco) all’infinitamente grande (le esibizioni in apertura di grandi eventi come le Olimpiadi). A livello di estetiche, l’eterogeneità è ancora maggiore: il circo contemporaneo abbraccia la sperimentazione estrema e gli show più family friendly. Come del resto succedeva già secoli fa: oggi come allora il circo è tutto questo e molto altro ancora, un ribollire continuo di idee, sempre in evoluzione. Il circo, in ogni caso, agisce da potente aggregatore sociale. Sia nelle sue varie microcomunità e sottoculture che con impatti in quella globale, diretti o indiretti. Frutto di automatiche conseguenze o di attente strategie.
Ambiti di intervento a confronto
Per gli operatori che desiderano muoversi con cognizione nel settore, ma anche per i performer emergenti che vogliono approcciare le discipline circensi con maggiore consapevolezza, si è ritenuto utile comporre questo numero speciale della rivista che si riferisce agli aspetti in qualche modo “sociali” di questo mondo. Vista l’importanza dei temi trattati la squadra di collaboratori è stata confermata ed anzi allargata ad altri importanti operatori che per la prima volta scrivono su queste pagine. Nicola Campostori si occupa del progetto dell’Ente Nazionale Circhi, Un circo per tutti, di cui il nuovo numero della rivista Circo, e la serie di uscite su questo sito, sono alcuni dei risultati. Adolfo Rossomando, che da decenni, con le sue molteplici attività segue (e di fatto stimola) il circo in quasi ogni suo aspetto, traccia una cronologia dalle origini di quello che viene chiamato Circo Sociale. Francesco Mocellin, rappresentante dell’ENC presso l’European Circus Association spiega l’importanza dell’aggregazione sindacale per dare voce alle varie istanze del mondo del viaggio. La ricercatrice Alessandra Litta Modignani, con il suo studio su 240 dinastie circensi italiane, spiega, nell’articolo apparso su questo sito all’esordio di questa nuova serie di pubblicazioni, come nella nostra nazione il circo classico si sia configurato soprattutto attorno ai nuclei familiari. Elena Lo Muzio illustra l’importante attività dell’Accademia d’Arte Circense di Verona, sia per la scolarizzazione dei bambini del viaggio che per l’integrazione con il tessuto sociale della città scaligera. Franco Aloisio racconta le origini e gli obiettivi, raggiunti o da raggiungere, di una delle più importanti e note fondazioni dedite al circo sociale, Parada, nata a Bucarest grazie all’attività di Miloud Oukili. Ancora Campostori espone l’intensa attività di Open Circus con diramazioni che portano a Kenya, Ucraina, e che prevedono vari aspetti da azioni concrete di incontro alla pubblicazione di volumi. Maria Teresa Cesaroni si occupa di Altro Circo, un progetto di Circo Sociale attivo da dieci anni in tutta Italia. Ruggero Sintoni, non senza un velo di malinconia, ricorda il forte impatto avuto dal progetto “Il Circo della Pace” di Bagnacavallo, che ha visto partecipare gruppi di giovani dalla Romania, Kenya, Colombia, persino Afghanistan, che venivano accolti con entusiasmo in Emilia. Ci si sposta in Lombardia, dove Maurizio Accattato racconta del Pronto Intervento Clown e delle tante attività attivate a Milano, come a ricordarci che per regalare attenzione e solidarietà non c’è sempre bisogno di recarsi lontano. Camilla Peluso ripercorre quasi mezzo secolo di attività formativa sempre nel capoluogo lombardo, vero centro di fermento creativo circense anche grazie alla Piccola Scuola di Circo. A pochi chilometri, a Peschiera Borromeo, è nata la Piccola Scuola del Circo dei Sogni di Paride Orfei, accanto ad un parco di recente titolato a Nando Orfei, come dipana una delle nostre penne più felici, Roberto Bianchin, nel ritratto pubblicato pochi giorni fa. “Dove una volta c’era l’erba ora c’è una città”, cantava Celentano. Dove una volta montavano i tendoni più importanti nel capoluogo meneghino ora BamCircus celebra una forma artistica con un evento a tutto tondo. Maria Vittoria Vittori, sempre attenta al mondo femminile, racconta di Pagliacce Network, un modo tutto particolare di interpretare la clownerie e tutti i suoi molteplici aspetti. Antonio Giarola, uno dei massimi creativi ed operatori del settore in Italia, illustra la sua ultima creatura, il Salieri Circus Award, e di come si inserisce nel tessuto sociale del veronese con varie attività rilevanti. Proprio il festival di Legnago ha contribuito a far conoscere agli operatori la vita e le opere della straordinaria Silke Pan. Un’artista che, dopo un incidente che l’ha costretta sulla sedia a rotelle, è riuscita a realizzare il sogno di tornare ad esibirsi. Una grande lezione di vita. Come quella di Armando Alò, un ragazzo con delle difficoltà motorie dalla nascita che ha fatto della passione del circo e della sua volontà di mettersi al servizio di altri appassionati la sua ragion d’essere. Chiude il numero un pezzo sul pittore e poeta Silvio Sangiorgi, i cui disegni appaiono in tutta la rivista. L’arte è alla fine un grande ottimizzatore sociale a cui tutti dovremmo affidarci di più.