di Alessandro Serena
Intervista a Luca Verdone, regista e sceneggiatore. Fratello di Carlo, e soprattutto figlio del professore Mario Verdone, un luminare di storia del cinema e delle arti della pista. In comune con il fratello il senso del ritmo e la conoscenza dei segreti del mestiere. In eredità dal padre la passione per il circo, che ha omaggiato con documentari e film.
Qual è il suo primo ricordo del circo?
Quando eravamo bambini, mio padre portava spesso me e mio fratello Carlo al circo, che montava quasi sempre a San Giovanni, qui a Roma. I primi complessi che ricordo sono quelli di Darix Togni e Orlando Orfei, ancora negli anni Cinquanta. Che spettacoli, che macchine perfette. Rimanevo meravigliato sia dalla parte artistica che dall’esperienza di entrare in un mondo. Del resto, per gli standard di quegli anni l’accoglienza dello spettatore era già molto curata. Poi venni a sapere che la maggior parte delle innovazioni ingegneristiche e architettoniche erano opera di Wioris Togni. Come dice Chaplin, quella del circense è l’arte di mille mestieri.
Suo papà, il professor Mario Verdone è stato un luminare.
Un grande appassionato di cinema e circo. Del resto, lui era di Siena, dove è seguitissimo il palio. Forse anche da questo viene la grande passione per gli spettacoli genuinamente popolari. Li seguiva con il suo caro e inseparabile amico Piero Sadun, pittore ebreo, anche lui senese. Hanno condiviso la passione per il circo, il cinema, la pittura, l’arte, per decenni. Una volta diventato già un noto storico di cinema, era entrato in ottimi rapporti anche con Federico Fellini per cui curò la parte di raccolta ed impaginazione testi de I Clowns, pregevole e poderoso volume illustrato che seguì l’uscita del celebre film. E, sempre con Sadun era entrato in stretto contatto con il grande Darix Togni. Si era poi occupato di arti circensi in molte occasioni. Con il suo Il circo, ma includeva sempre le antiche arti della meraviglia anche in suoi testi più ampi, come Spettacolo romano o Feste e spettacoli a Roma.
Erano anni importanti per lo studio del circo.
Mio papà faceva parte di un gruppo di storici, critici, cronisti che ha animato la scena culturale fino agli anni 80 e che salvo qualche rara eccezione non è stato rimpiazzato. C’erano lui, Alberini, Correnti, Pretini. E altri anche all’estero, fra i quali Tristan Remy.
Lei ha saputo conciliare il successo commerciale, come quello della commedia Sette chili in sette giorni, con l’attenzione al racconto storico, con documentari su Ettore Petrolini, Alberto Sordi ed altri grandi personaggi dello spettacolo romano e nazionale.
In qualche modo devo avere sviluppato in comune con mio fratello Carlo il senso della leggerezza e allo stesso tempo ereditato da mio papà un certo rigore nel lavoro e la consapevolezza della grande importanza dello spettacolo popolare. È stato quindi per me naturale occuparmi anche di circo. In concomitanza con l’evento del 2009 sulle famiglie Casartelli – Togni ha realizzato un documentario. Divier, da mecenate, aveva deciso di realizzare un bellissimo evento celebrativo e mi ha incaricato di realizzare un documentario sulle due dinastie. Per me è stato un regalo grandissimo. Mi ha permesso di tornare ad immergermi per un periodo in un mondo che amo e che apprezzo moltissimo. Trovo che i Togni siano persone straordinarie. Uniscono coraggio a fantasia. Hanno una incredibile disposizione d’animo nei confronti della vita. Potrebbero essere presi da esempio da molti. Sempre propositivi, a volte nonostante ostacoli di ogni genere. Studiare la loro vita costituisce una specie di educazione morale. Ho avuto la possibilità di rivedere vecchi amici e approfondire alcune conoscenze. Per esempio, quella di David Larible, davvero un grande artista, alla pari delle stelle del passato. E rivedere la cara Fiorenza, moglie del grande Darix, che fu amico di mio papà. Una grande emozione.
Lei si è dimostrato un artista poliedrico. Oltre a documentari e film, anche opere liriche.
Più grande è la sfida e più mi ci appassiono. Tra le varie opere dirette mi piace ricordare almeno la Carmen e Le nozze di Figaro, con numerosi sold out al Teatro Massimo Bellini di Catania. Tra i lungometraggi sono affezionato a La bocca con Alida Valli e Tahnee Welch. Lo considero un film molto ben riuscito e molto romantico.
Altra grande sfida è stato il film su Antonio Franconi,
uno dei grandi padri del circo.
Per me un’esperienza catartica che mi ha permesso di far convergere almeno tre passioni, quella per il circo, quella per il cinema e quella per la ricostruzione storica. La meravigliosa avventura di Antonio Franconi. Sono partito dalle ricerche di Giancarlo Pretini per sviluppare un plot. Era importante per me partire da basi storiche solide, anche se poi, devo dire, mi sono preso molte licenze poetiche. Ho voluto puntare sul senso della famiglia nel circo. Sul senso del viaggio, di portare la meraviglia al popolo, anche se in quegli anni erano diffusi i circhi stabili.
Un cast notevole.
Davvero. Oltre a Sonia Aquino, ho avuto la possibilità di avere un grande attore come Massimo Ranieri. Ho usato tutta la sua capacità di lavorare sui chiaro scuri per costruire un Franconi tormentato, una personalità complessa. Ho deciso di lavorare sulla sua semicecità, che nel film gli viene predetta da una fattucchiera. Ho immaginato di farlo arrestare durante la Rivoluzione francese. Mi piaceva l’idea di immergerlo nel contesto storico e politico di quegli anni. Ci sono stati alcuni problemi legati alla produzione. Non è stata un’avventura solo per Franconi, ma anche per me e per tutta l’equipe. Infatti, la produzione è stata complicata. È durata sei anni (dal 2005 al 2011) con continui rinvii, alcuni dovuti ai molteplici impegni di Ranieri, altri a motivi di vario genere. Inoltre, ci sono stati problemi anche legati alla distribuzione, che in effetti non è mai davvero iniziata. Anche se la pellicola era stata invitata come evento speciale alla Festa del Cinema di Roma con grande successo di pubblico e di critica. Ora per fortuna siamo vicini alla distribuzione su di un’importante piattaforma, dove speriamo di avere finalmente le visualizzazioni che merita.
Siamo alla scadenza del suo mandato come componente della Commissione Consultiva Circo e Spettacolo Viaggiante presso il Ministero della Cultura.
Ho accettato di buon grado di far parte di questo organismo. È stata un’occasione per occuparmi da vicino di questo mondo straordinario che ho sempre amato. Di comprenderne meglio la situazione attuale. In qualche modo anche di ergermi a difesa di un genere che tutto sommato è vessato da eccessiva burocrazia, oltre ad una generale sottovalutazione da parte del mondo della cultura e delle istituzioni. In realtà la funzione della commissione è, appunto, consultiva e non si riesce ad influenzare più di tanto il sistema di erogazione dei contributi, il quale, a mio parere, è perfettibile. E il lavoro di vaglio delle domande è un’avventura, visto che le pratiche sono centinaia. I criteri sono forse anche troppo rigidi e alla fine bisogna contare su di una sorta di algoritmo che diventa come il computer di 2001 Odissea nello spazio, un’entità astratta che pure comanda su tutto. Le pratiche sono forse anche troppe. In passato c’erano dei criteri di selezione. Per esempio, potevano presentare domanda solo coloro che provassero di essere del mestiere da almeno tre anni. Da una parte si stimola il rinnovamento, ma dall’altra si rischia di avere a che fare con compagnie davvero alle prime armi.
Quale futuro per il circo? Siamo ad una svolta. Dai tempi in cui agiva mio papà il circo si è un pochino eclissato nell’immaginario collettivo. Non ci sono più grandi nomi. Il circo è stato come ghettizzato. Certi intellettuali di una parte politica credono che sia progressista abbracciare come l’animalismo estremo. Ma guardiamo con quanta attenzione, per esempio, Vinicio Canestrelli cura i suoi cavalli. Bisogna salvaguardare il genere. Riconoscere il lavoro che c’è dietro. Cercare di facilitare l’impresa. E questo si può fare solo con uno sforzo collettivo, al quale devono partecipare non solo gli storici e i critici, ma soprattutto artisti ed imprenditori. Per riconquistare il ruolo che il circo merita.