Leo Bassi (Stati Uniti, 1952) ha concluso il Milano Clown Festival 2012. Ed è stata una conclusione trionfale affidata ad un artista che da anni si esibisce di fronte a platee di tutto il mondo grazie alle sue origini circensi, quindi nomadi per eccellenza, e grazie alle numerose lingue che conosce che gli consentono di parlare e dialogare con il pubblico di ogni dove.
Cosmopolita ma residente da qualche anno in Spagna, circense, politicamente impegnato, molteplice in abilità, Leo Bassi ha presentato al pubblico milanese il suo ultimo spettacolo intitolato Utopia. Spesso nei suoi show si mostra molto politicizzato ma lo fa attraverso le metafore prese a prestito dal mondo circense dal quale proviene e attraverso una dialettica pungente e brillante. In Utopia l’inizio è cupo. Leo Bassi entra in scena, una scena buia e livida, con occhiali neri e bastone da cieco, metafora della condizione cui spesso si è costretti o ci si costringe da soli. Si dice arrabbiato di doversi esibire in un piccolo tendone posto proprio in mezzo a grattacieli e palazzoni sedi di banche, simbolo di potere; In Utopiaun’altra metafora questa, insieme a molte altre, che spiega cosa significa essere artista circense nel mondo di oggi, in un’attualità in cui la situazione economica è disastrosa.
Leo Bassi si professa buffone e afferma che la sua anima si ribella in questo momento così critico. Non risparmia nessuno, a partire dal potere e dalla genia dei banchieri e dei primi ministri, due categorie che al momento coincidono, in Italia come in Spagna: in terra iberica c’è un ex Lehman Brothers, da noi un ex Goldman Sachs.
Non risparmia neppure il carnevale ambrosiano che deve il suo nome a Sant’Ambrogio (Bassi, en passant, rende chiaro anche cosa pensa della chiesa), colui che si era battuto per estirpare ogni forma di festività pagana dalla vita quotidiana del IV secolo d.C., e dunque che aveva contribuito anche all’abolizione del carnevale. Ironia della sorte, che proprio non va giù all’anima di buffone di Leo Bassi.
Ma cosa significa essere un buffone per questo artista che ha fatto del mondo la propria casa? Significa parlare di valore. Giunto a 60 anni di età Leo Bassi ripercorre le tappe della storia della sua famiglia: “Io sono conosciuto per le mie provocazioni, dicono che sono pazzo, che sono estremista e che faccio troppa politica. Se la gente pensa questo di me è perché non conosceva mio nonno”. E racconta di Marcello Bassi, discendente di una famiglia circense italiana, di natali toscani, che all’inizio del ‘900 emigrò e andò in Francia. Leo Bassi racconta che cosa è, e soprattutto cos’era, il circo e qual è la missione dell’artista che in pista si esibisce: essere artista di circo significa mostrare alla gente che si può raggiungere alte vette con la sola propria forza, senza interventi divini, senza intercessione dei potenti. Il circo è ateo e internazionalista, nessuno sopra e nessuno sotto, “nessuno lo diceva ma si sapeva che era così”. Gli ideali di Marcello Bassi, clown bianco, si scontrarono prepotentemente un giorno del 1914, quando la polizia francese interruppe lo spettacolo per arruolare tutti gli uomini di età non inferiore ai 17 anni perchè si era in guerra. Tutti vennero portati alla stazione, anche Marcello Bassi, ancora in abiti da clown bianco. La prima guerra mondiale segnò profondamente quest’uomo, ma non completamente, perché la missione del buffone è questione di vita o di morte, egli ride della realtà e dei potenti. Il pubblico può vedere una foto di quest’uomo, presentato dalle stesse parole del nipote: “L’unica foto che in famiglia abbiamo di mio nonno durante la guerra è questa, quella di un uomo con un cane sulla testa”. Già, perché Marcello Bassi è ritratto proprio in abiti da soldato con un cane seduto in equilibrio sulla sua testa.
Per parlare di politica Leo Bassi si sente moralmente obbligato a vestire i panni dell’unico essere magico in grado di sostenere questa missione, il clown bianco. Veste in scena i panni brillanti del bianco, ruolo che ha ereditato da più di un secolo di tradizione famigliare; a corredo di ciò indossa il cappello di feltro appartenuto in origine proprio al nonno Marcello, al quale tributa il suo saluto insieme all’applauso del pubblico. Il personaggio del clown bianco prende vita lì davanti al pubblico perchè Leo Bassi si prende qualche minuto di silenzio, a dispetto del cicaleccio fastidioso imposto dalla tv di oggi, e sulle note di “Vissi d’arte” tratte dall’opera Tosca, si trucca.
Ora, grazie ai panni di clown bianco, può parlare di speranza, di riscatto grazie a poesia e romanticismo (di cui questa figura ha grande esperienza) e svela le mistificazioni quotidiane con cui abbiamo a che fare. Una splendida metafora delle finzioni che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi Leo Bassi la esprime attraverso il classico numero dei bicchieri musicali, un numero realizzato in playback, proprio a sottolineare il marcio e la falsità che ci circondano. E’ compito del buffone aprire gli occhi, farlo con poesia e con arte.
In poco più di un’ora di spettacolo Leo Bassi cuce insieme attualità, veemenza, pungente sarcasmo, una clownerie che tiene conto di chi è quest’artista oggi, dopo anni di frizzante carriera, e di che cosa può essere in grado di fare l’artista di circo in un mondo che in parte ha bisogno di ridere ma d’altra parte necessita di aprire gli occhi e di prendere consapevolezza.
Insieme alle sue origini del circo non dimentica una piccola ma grande citazione di un personaggio della pista. Ricorda quando era bambino e aveva avuto la curiosità e il coraggio di andare da Charlie Rivel, allora ottantaquattrenne, al quale chiese da cosa si potesse capire se un uomo fosse o meno un vero clown. Charlie Rivel rispose che un grande clown è quello che entra in pista, non fa nulla, sta fermo, e nonostante ciò il pubblico inizia a ridere. E Leo Bassi a questo ricordo aggiunge “E io è più di un’ora e mezza che sono qui a far casino! Incredibile! Ma ho solo 60 anni, ne ho ancora 24 davanti”.
Stefania Ciocca