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La Francia riflette sul sorriso amaro del clown Chocolat

di Filippo Ferraresi

PARIGI – Chocolat fu la prima vedette nera della scena francese. Lo afferma una volta per tutte e con gran convinzione lo spettacolo in scena al mitico teatro dei Bouffes du Nord di Parigi Chocolat, clown negre. Pièce deliziosa che riapre una ferita dolorosa nella storia dello spettacolo francese perché racconta la storia del celeberrimo clown Chocolat, al secolo Rafael Padilla, che tanto ha fatto discutere storici dello spettacolo, sociologi e studiosi di storia dell’immigrazione. Ci ricordiamo infatti con difficoltà che i primi personaggi “famosi” filmati dai fratelli Lumière furono proprio Footit e Chocolat, duo di clown ammirati da tutta la Parigi della Belle Epoque. Al Nouveau Cirque, in rue Saint-Honoré, facevano furore tutte le sere. Ai comandi, Footit, clown ereditario del genere burlesque inglese, come replica, Rafael, alias il clown Chocolat, corpo nero in un elegante vestito bianco. Una storia archiviata con troppa fretta che manca di una analisi sulle conseguenze sociali e le influenze artistiche di questa coppia esplosa in un lasso di tempo in cui il ragtime e il jazz non avevano ancora rivelato l’uomo nero come artista.

Alcune immagini dello spettacolo tratte da www.pascalgely.fr/rubrique/afficher/137
Lo storico dell’immigrazione Gérard Noiriel e il regista Marcel Bozonnet tentano di raccontare sul palco l’incredibile biografia del “primo artista nero della scena francese”: figlio di uno schiavo originario di Cuba, arrivato in Europa via New York quando era ancora un bambino, incarnava in sé, suo malgrado, il ritmo del cake walk, la danza autorizzata agli schiavi delle piantagioni. Per farlo, il regista ha ricreato simbolicamente una pista sulla quale domina un grande telo bianco che ricorda le forme puntute di un tendone da circo. Sull’arena, appena accennata con del nastro bianco, troviamo qualche oggetto caro al mondo dei clown, una scatola di trucchi, due o tre sedute qua e la. Il ruolo principale è stato dato a Yann Gaël Elléouet, giovane attore ginnasta uscito dal Conservatorio Nazionale Superiore di Arte Drammatica, mentre il ruolo di Footit è di Sylvain Decure, artista completo formatosi al CNAC.
Negli anni in cui arrivavano quotidianamente notizie sulle missioni coloniali francesi, Chocolat metteva al riparo, in apparenza, la buona coscienza razzista francese. Egli trionfava sulle scene della grande capitale, insieme al suo compare Footit, clown bianco, di cui lui era l’augusto. Ma c’è una sorta di cortocircuito in questa storia, qualcosa dal sapore amaro si insinua fra le tante risa della borghesia della Ville Lumière. Il personaggio che egli interpreta, quello che non smette ma di prendere botte, giustifica e di fatto legittima lo stereotipo filo coloniale del negro offeso dal bianco. Negro, la cui maschera impassibile lascia lo spettatore incapace di capire se davanti a lui ha un essere senza cervello o una persona intelligente che conosce la propria caduta morale ma non si ribella al suo ruolo. Chocolat mostra ciò che da lui ci si aspetta. È un clown. Illustra lucidamente, fino al grottesco, la visione di una società alterata, egli è il rivelatore di una società bianca in piena mutazione, negli anni de “l’affaire Dreyfus”. E proprio in questo periodo il clown nero vedrà compiersi il proprio declino. Rafael Padilla, morirà nel 1917 nell’anonimato più completo, dimenticato e seppellito nella fossa comune degli indigenti di Bordeaux.
Marcel Bozonnet e Gérard Noiriel fanno il lavoro degli storici. Non è soltanto la storia di Chocolat quella che essi narrano, ma la storia dello spettacolo popolare francese. La curiosità che Chocolat profondeva nelle persone era quella dello straniero, dell’esotico, misto di titubanza e pregiudizio, di ammirazione e fascinazione. A tal proposito l’evocazione dello zoo umano durante l’esposizione universale del 1900 è abbastanza eloquente per tradurre l’ambiguità stessa dello statuto di Chocolat. Rafael è due volte straniero per via del colore della sua pelle e per via della sua arte. C’è un video in loop sulla scena che sottolinea questo fatto, ritraendo Chocolat nel celebre numero della sedia in coppia con Footit. Diventando il rappresentante di un popolo nero egli finisce costretto in un lavoro che lo incatena. Il circo è il testimone illustre di questa oscillazione continua da uno stato all’altro, di questo giro senza fine dove è in ballo Chocolat. Come se questo universo, chiuso in se stesso, avesse d’improvviso segnato il personaggio e scolpito il suo destino.
Il regista getta sulla pista i personaggi importanti della vita di Chocolat: la scena è investita da un ritmo forsennato, da un continuo incrociarsi e corrersi dietro. L’esterno è evocato solo da delle proiezioni video sulla tela bianca: immagini dell’esposizione universale, della Grande Guerra, delle innovazioni tecnologiche, tra cui il cinema (che cattura le prime immagini conosciute di Chocolat e Footit), iscrivono Chocolat nella storia dello spettacolo di Francia e d’Europa. Uscire dalla pista non è più una metafora. Uscire da questo cerchio magico vuol dire morire, socialmente e fisicamente. Marcel Bozonnet sottolinea lo scacco in cui si trova Chocolat fin dalle prime parole del personaggio di Rafel Pazilla. Chocolat racconta la sua morte. Destino tragico annunciato senza rullo di tamburi né trombe.
Ma al di la di un destino singolare, la questione che pone il regista è il nostro rapporto, oggi, con l’altro. Il nostro rapporto con la cultura fatta da artisti stranieri. Questione scottante di questi tempi in una Francia sotto campagna elettorale presidenziale dove (ri)fanno capolino fazione di estrema destra…
Footit e Chocolat ritratti da Toulouse-Lautrec
Che si rida di un negro malmenato da un bianco ci sembra uno scandalo, oggi. Ma lo era anche negli anni 1890, quando il Nouveau Cirque presentò per la prima volta un numero di clown dove il negro finiva steso dal clown bianco, così british, Footit? La minuziosa inchiesta di Gérard Noiriel pone la questione nel contesto politico e artistico della Belle Epoque, dell’espansione coloniale e dell’invenzione di una “cultura nera”. Per alcuni, non c’è dubbio: questo riso di superiorità è naturale, riflette la dominazione coloniale e un razzismo condiviso. Battuto, Chocolat, è semplicemente e buffamente rimesso al suo posto da Footit e non può esistere senza di esso. Questa l’interpretazione del giornalista Franc-Nohain nelle (false, gridano alcuni) memorie di Footit e Chocolat (1907).
Noiriel va più lontano immergendosi nella stampa dell’epoca o in alcuni dossier di archivi bibliografici, e dimostra che Rafael Padilla, alias Chocolat, era già famoso prima del duo con Footit, come testimonia d’altronde Toulouse-Lautrec che lo rappresenta mentre danza solo in luccicanti bar parigini.

Adattazione per la scena: Gérard Noiriel et Marcel Bozonnet
Regia: Marcel Bozonnet, assistenza di Manon Conan
Costumi: Renato Bianchi
Chorografie: Natalie Van Parys
Video: Marc Perroud
Dispositivi: Marcel Bozonnet e Renato Bianchi con la collaborazione di Sara Sablic
Realizzazione dei costumi: Sylvie Lombart
Drammaturgia: Joël Huthwohl
Consiglio sull’immagine: Judith Ertel
Interpreti: Yann Gaël Elléouet, Sylvain Decure, Manon Combes Zuliani, Ode Rosset, Marcel Bozonnet