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In occasione del compleanno del grande artista, che avrebbe compiuto oggi 74 anni, proponiamo questo pezzo di Massimo Locuratolo, uno dei massimi esperti del comico come genere dello spettacolo, che analizza la figura di Jango Edwards, a quasi un anno dalla sua scomparsa. Si tratta di appunti strutturati per la realizzazione di una biografia del grande clown. Mai come in questo caso lo studio del percorso artistico di un rivoluzionario, aiuta a capire l’importanza delle radici e della tradizione.

di Massimo Locuratolo

Dirompente, sciamanico, oltraggioso, Stanley Jango Edwards è stato colui che ha tolto il naso rosso ai clown e poi ne ha avvolto l’essenza circense con una trama di segni provenienti dalle fonti più disparate. Messo a punto il Nouveau Clown – come sarebbe stato definito in seguito, lo ha poi teletrasportato all’esterno degli chapiteaux sistemandolo nei teatri, sullo schermo televisivo e cinematografico e in strada quando il teatro in strada ancora non esisteva. In pratica, ovunque potesse manifestare la sua follia. Ad onor del vero, va ricordato che i semi della rivoluzione prima di lui erano stati sparsi in giro da due artisti svizzeri: Grock e Dimitri. Negli anni immediatamente precedenti il primo conflitto mondiale, Grock aveva trascorso un severo periodo di formazione circense con Antonet. Solo in seguito avrebbe adattato il suo clown ai palcoscenici delle Music Hall senza snaturarne il DNA. Dimitri, il cui debutto era avvenuto sulle tavole del Vieux Colombier di Parigi nel 1964, a 29 anni, rispettando la lezione di Grock, il suo modello di riferimento, e di Marcel Marceau, il suo maestro, aveva teatralizzato i meccanismi circensi sistemando scrittura, movimenti ed espressioni all’interno di un’architettura meticolosamente progettata.   

La storia di Jango Edwards si è sviluppata su binari differenti. Nato a Detroit da genitori polacchi, studente di architettura e valente sportivo, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso aveva iniziato a visitare l’Europa, come molti altri studenti americani, per conoscere le radici della civiltà occidentale. Nulla faceva presagire per lui un destino da clown. Due ne furono i fattori scatenanti: un libro e la scoperta del valore terapeutico della performance. Nel 1970, quando aveva 20 anni, lesse La quarta via, di Ouspensky che esemplificava, sotto forma di dialogo, gli insegnamenti di Georges Ivanovič Gurdjieff, un mistico e filosofo armeno che aveva creato un sistema basato sui principi delle dottrine sufi e derviscia messi in rapporto con le filosofie indiane e orientali volto alla riappropriazione di sé e alla conquista dell’autoconsapevolezza. Questa lettura gli indicò la strada per lo sviluppo della conoscenza di sé allo scopo di fornire aiuto agli altri. Gli svelò il modo per elaborare una consapevolezza attorno la quale poteva organizzare la sua vita, perché ogni azione acquistava un senso quando era determinata dalle pulsioni emozionali, e solamente mettendosi in relazione con l’intorno adottando due principi fondamentali (“Conosci chi sei” osservando te stesso, e “Aiuta te stesso”) si raggiunge la felicità.

Sinora egli non aveva ancora ben focalizzato chi fosse e che cosa volesse. Con “la quarta via” aveva individuato una rinnovata coscienza che lo portò a determinare il senso profondo che poteva dare alla sua esistenza, valorizzando gli affioramenti emotivi e trovando il modo per trasmetterli al maggior numero possibile di individui. Presto capì che il mezzo più efficace per farlo era la performance. Da un palco si aveva la possibilità di influire su gusto e percezioni di una gran moltitudine di persone, fornendogli, nel contempo, piacere. Seguendo l’istinto (e i modelli più radicali dell’epoca, tra cui Iggy Pop, il Living Theatre, la Body Art) aveva deciso che l’immagine da mettere in gioco per provocare le reazioni del pubblico era quella di sé medesimo, del suo corpo, dello spettacolo che ne faceva. Fu questo il motivo per cui, una volta a Londra, iniziò a frequentare il corso di mimo di Ron Wilson, un allievo di Jacques Lecoq – il maestro francese che aveva creato una metodologia espressiva basata sulla naturalezza del gesto e sull’umanità del personaggio. Nel mentre continuava ad allenarsi e a divorare scritti riguardo il clown. Stava iniziando a realizzare che era nato per esserlo.

Avvenne tutto molto velocemente, come qualsiasi cosa a Londra avesse a che fare con le forme della creatività moderna. Pensiamo a Mary Quant, a Carnaby street, ai generi musicali che tra il 1969 e il 1975 lì videro la luce e i cui riflessi sono tuttora accecanti. Mentre frequentava la scuola di un altro maestro formatosi con Lecoq, Geoffrey Buckley, venne a conoscenza di un corso serale per diventare clown. Mentendo, disse alla titolare di essere un clown americano. Frequentò il corso per cinque settimane, sinché lei gli comunicò che tornava a lavorare in un circo e gli propose di svolgere lui stesso le lezioni. Sinora il suo tirocinio consisteva in poche lezioni da Ron Wilson, l’esperienza con Geoffrey Buckley e dieci ore con la signora. La sostituì per sei mesi, due ore a settimana. Da Ron Wilson aveva conosciuto Nola Rae, una mimo di formazione tradizionale che si occupava delle pulizie nel suo teatro. La invitò a un seminario che teneva alla Oval House, uno spazio polifunzionale. Il teatro interno era a disposizione di coloro che stavano sperimentando nuovi linguaggi espressivi, e presto divenne uno dei principali nuclei propulsori di quello che sarebbe stato definito il teatro off o fringe, un’alternativa agli allestimenti tradizionali del West End. 

Ciò che Nola faceva si ispirava allo stile di Decroux e Marceau, ed era molto diverso da quanto lui stava esplorando. Le spiegò che voleva capire come creare un clown che sapesse comunicare col cuore. Le parlò di follia, di assenza di limiti, di confini da abbattere. Divenuti amici, decisero di produrre uno spettacolo come London Mime Company. Si misero a provare a ritmi serratissimi, ma per avere uno show abbastanza lungo si associarono con The London Black Theatre Company e con un trio di studenti della Central School of Art and Design. Nacquero così i Friends Roadshow, un collettivo di musicisti, cantanti e attori che si sarebbe affermato nei circuiti teatrali alternativi di Londra e poi ad Amsterdam e negli Stati Uniti. La residenza londinese durò dal 1971 al 1974. Nel frenetico ambiente artistico che animava la Oval House furono messi a punto almeno due dei numeri che avrebbe mantenuto in repertorio per decenni: Western (una formidabile prova di scrittura e di duttilità mimico/interpretativa), e The dive (il tuffo), che – a parte l’acrobatico esercizio finale – sarebbe stato costantemente rielaborato nella durata, nella narrazione visiva e nei costumi di scena. Poi si trasferì ad Amsterdam, dove esisteva un circuito di spazi teatrali d’avanguardia, ognuno dedicato ad uno specifico genere e col suo specifico pubblico, mantenendo attivissimi i contatti con Londra e gli Stati Uniti. Nel luglio del 1974, mentre si trovava nel Wisconsin, con la formazione statunitense dei Friends Roadshow per partecipare all’International Mime Festival and Institute vi si materializzarono Jacques Lecoq e Dimitri. I loro spettacoli provocarono un enorme stupore, in quanto oltreoceano non si era mai visto nulla di simile. Dal punto di vista della storia di Jango Edwards, che era lì, possono essere considerati come una prima, simbolica chiusura del cerchio. 

Prendendo spunto da un suo progetto, dal 6 al 22 giugno del 1975, ad Amsterdam, si svolse il Festival of Fools. L’eclettica programmazione includeva, tra le altre, una famosa band tedesca di jazz progressivo, i Friends Roadshow inglesi e americani e la Great Salt Lake Mime Troupe – conosciuta l’anno prima a La Crosse; Carlos Trafic – un comico argentino stabilitosi ad Amsterdam, più alcune formazioni di teatro di ricerca tra cui Footsbarn Theatre, Powder Theatre e Pentatheater. Tutti presentarono i loro spettacoli nelle varie sale e al Vondelpark, e furono visti da migliaia di giovani provenienti da ogni angolo d’Europa. Fu un successo, e il Dipartimento della Cultura del Governo erogò un contributo che venne impiegato per finanziare l’edizione dell’anno successivo. Nel 1975 Jango Edwards aveva 25 anni. Dal 1976 ne furono poi organizzate altre sei edizioni e la programmazione, di volta in volta, cresceva per numero e qualità delle proposte, in quanto il sasso gettato nello stagno della ricerca sui parametri di una clownerie moderna aveva prodotto onde concentriche dal diametro sempre maggiore, e sempre più artisti da tutto il mondo vi si tuffavano dentro. Superfluo specificare chi aveva scagliato quel sasso. A questo punto occorre spiegare le caratteristiche del moderno buffone comparso ad Amsterdam, prendendo spunto da una considerazione storica: sinora il Clown era stato il personaggio comico che scendeva in pista tra una prova rischiosa e una di abilità, e la gente di circo ne salvaguardava gelosamente repertorio e personalità, immagine e patrimonio tecnico/espressivo. Ma nel quinquennio di cui stiamo parlando erano accadute svariate cose interessanti. Nel 1973 Annie Fratellini e Pierre Etaix avevano creato, a Parigi, l’Académie Fratellini, e nel 1975 Dimitri aveva fondato a Verscio, presso Locarno, la Scuola Teatro Dimitri; senza contare che quello era stato pure il periodo dell’affermazione internazionale del Grand Magic Circus di Jerome Savary e del Cirque bonjour di Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée (1971), e poi del loro Cirque imaginaire (1974). Si trattava di pionieri che avevano ribaltato le convenzioni circensi e clownesche praticate sino allora, portando all’esterno dello chapiteau saperi tradizionali e abilità esecutive sinora inaccessibili all’utenza borghese, e lasciando che si esprimessero sia in teatro che in strada.  

Jango Edwards, immerso sino al midollo nella rivoluzione sociale e culturale avviatasi in occidente dalla fine degli anni Sessanta, e consapevole del terremoto artistico innescato da quei pionieri, in perfetta sintonia col pensiero diffuso durante quelli che sarebbero stati definiti “gli anni della contestazione” sapeva che il mondo doveva rigenerarsi e aveva bisogno di un nuovo genere di clown. La messa a punto dell’apparato teorico che sosteneva questa pacifica ribellione era avvenuta gradualmente. Sistemate le motivazioni di partenza, il suo traguardo adesso consisteva nell’impegno a mettere il cuore, assieme al talento, in quello che sarebbe diventato un percorso per emancipare le persone, offrendo loro gli strumenti per rivendicare le proprie libertà individuali e per fare sì che non vivessero più nella paura, dal momento che sinora erano state imprigionate in una gabbia di valori divenuti obsoleti. Il fine di questo percorso di emancipazione era la risata: immediata, squassante, liberatoria. Il mezzo per scatenarla, senza mediazioni intellettuali, sarebbe stato il corpo. Il suo era un corpo allenato, espressivo, acrobatico. Ma anche liberato, insolente, sessualizzato (veniva spesso mostrato integralmente nudo), privo di vergogna e di timori nell’esibire i suoi fluidi. Un corpo offerto, disponibile senza reticenze. Un corpo esplicito e animalesco. Un corpo-teatro. Un corpo sovversivo: pertanto, un corpo politico. Il suo è stato il corpo di un clown negli anni della liberazione sessuale. Questo il motivo per cui era anche un corpo che suscitava sgomento e diffidenza in coloro che continuavano a riferirsi ai valori tradizionali; come chi, giusto per fare un esempio accademico, all’epoca del Festival of Fools aveva vent’anni ma preferiva ascoltare la musica dei rassicuranti dischi di famiglia piuttosto che avvicinarsi ai Rolling Stones o, peggio ancora, ai Led Zeppelin e ai Deep Purple. La galleria dei personaggi che Jango ha portato in scena dagli anni del Vondelpark sino alla maturità possedeva un fil rouge che li accomunava: erano tutti molto fisici, debordanti nella loro carnalità, privi dei filtri imposti dalle convenzioni sociali. Il suo è stato un progetto totalmente immerso nello spirito di un’epoca, ben sostenuto dal fatto che sulla scena sociale si era affacciata una nuova utenza: informata, giovanile, metropolitana, esigente e dinamica, diversissima da quella famigliare che sino a quel momento frequentava il circo tradizionale, e ben felice di prendere in considerazione il fatto di poter ammirare nelle piazze e sui palcoscenici un’elaborazione attualissima dei concetti di circo e di clown

I nuovi clown, provenienti dalla società civile e non più solamente dal mondo chiuso dello chapiteau, stavano progressivamente abbandonando la formula dell’entrée per dedicarsi alla creazione di spettacoli estesi basati su uno spunto di base o su un soggetto estetico ricorrente, in cui potevano mescolare la danza contemporanea all’acrobazia e alla pantomima, e qualsiasi genere musicale ai linguaggi del teatro e all’equilibrismo. Il clown teatrale moderno di Jango Edwards, e delle centinaia di artisti che a lui si sarebbero ispirati, era un catalizzatore di inedite sensazioni, di attitudini culturali contemporanee, di suggestioni le più disparate. Sulla tradizionale buffoneria aveva insufflato un inedito respiro poetico, e il palcoscenico era diventato la sua casa ideale. Chi lo interpretava osservava l’umanità, annotava le caratteristiche delle svariate personalità che incrociava, riconosceva e identificava le molteplici modalità comportamentali senza fare discriminazioni. Leggeva tutto, era al corrente delle nuove tendenze, conosceva tutti i film e tutte le televisioni senza fare distinzioni tra generi e qualità. Ascoltava qualsiasi genere musicale individuando il valore di ogni spunto melodico e armonico.

Poi girava in parodia tutti questi input, ben sapendo che per fare parodia bisognava saper riconoscere il

lato comico in qualsiasi oggetto, persona o situazione; e conosceva il segreto per trasformare quel comportamento, o quella cosa, in opportunità creativa per scatenare le risate. La diffusione di questi inediti contenuti iniziò proprio coi Festival of Fools, che anno dopo anno videro la partecipazione sempre più ampia di artisti provenienti da ogni angolo dell’Occidente, tutti desiderosi di lavorare su una drammaturgia clownesca che potesse corrispondere ai valori sociali e culturali che cinquant’anni fa avevano iniziato a sostituire quelli praticati nell’ambiente post-bellico. Nel frattempo Jango Edwards girava l’Europa impegnandosi in tournée dai ritmi forsennati, svolgeva seminari e corsi di formazione dalla durata variabile, sovente nelle città dove presentava i suoi spettacoli, e dal 1991 aveva iniziato a organizzare delle Master Class annuali, della durata di un mese, a cui hanno partecipato centinaia di giovani artisti motivati ed entusiasti. Senza contare che dagli anni Ottanta è stato un richiestissimo personaggio televisivo soprattutto in Germania, Francia, Spagna e Austria, e che su di lui sono stati realizzati film e documentari televisivi. Probabilmente nessun clown era mai stato oggetto di un’esposizione mediatica internazionale tanto ampia e diffusa. Ebbene, queste iniziative hanno diffuso a macchia d’olio la figura e il messaggio del Nouveau Clown, al punto che oggi si può affermare che quello è il ruolo di riferimento quando si affronta il tema della comicità visiva moderna. L’ultima Master Class si è svolta a Barcellona, la città dove risiedeva da molti anni, nel mese di ottobre 2022, a cui ha fatto seguito un’edizione speciale del Festival of Fools, fortemente voluto come un regalo d’addio al suo pubblico. Sofferente da tempo per una terribile malattia, Jango Edwards ha abbandonato la dimensione terrena il 5 agosto 2023, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile.