di Silvio Sangiorgi
Tutte le immagini di questo articolo sono opere di Silvio Sangiorgi, per gentile concessione dell’autore
Il pittore Silvio Sangiorgi è sempre stato affascinato dal circo, dal teatro di strada e dai suoi interpreti. Da diversi anni conduce una ricerca che lo ha portato a realizzare numerosi ritratti di artisti e personaggi legati a questo mondo. Il quale, come ricorda in questo articolo, ci riporta all’essenza della socialità umana: il cerchio, attorno alla fuoco, nella piazza e sotto il tendone.
L’atto circense nasce dall’urgenza dell’uomo di festeggiare, commemorare ed eseguire rituali in onore della natura, dei morti, degli dei e lo fa sfidandoli. Tali riti sono caratterizzati dalla segretezza e l’unico responsabile è lo sciamano, che chiama attorno al fuoco uomini, donne e bambini al fine di ascoltare, guardare e vivere una realtà altra dall’ordinario, una realtà superiore. Magia, acrobazia, contorsionismo, marionette e fuoco sono le prime manifestazioni rituali e il loro passaggio a spettacolo è avvenuto in tempi antichissimi, probabilmente già nel Neolitico: i riti sciamanici si fanno arte del guerriero, del cacciatore e dell’agricoltore. Il loro forte simbolismo e la loro riconoscibilità li fanno codificare come arti dell’intrattenimento molto tempo prima del teatro.
In epoca romana il termine con cui si indicano giocolieri, acrobati e funamboli è circulatores, denotando sia il loro modo di esibirsi al centro di un cerchio fatto di persone sia il loro carattere nomade. Questi artisti, facenti parte della stessa famiglia o riuniti in compagnie grandi e piccole di uomini e donne provenienti
da ogni luogo, si esibiscono sia in piazza che nei teatri costruiti all’occorrenza durante i ludi, termine con cui si indicano i giochi pubblici a Roma dal V secolo a.C.
La fine dell’Impero romano d’Occidente segna anche la fine del sistema ludico e tutti i professionisti della scena sono costretti a girovagare tra i piccoli centri abitati, alla ricerca di un po’ di cibo, di qualche moneta e subendo la censura della Chiesa cristiana. L’intrattenimento medievale è per lo più di tipo religioso e le rappresentazioni sacre sono usate per istruire i fedeli analfabeti sulle Sacre Scritture. Il contraltare laico è rappresentato dal giullare, esperto nel canto, nel replicare suoni, nella danza, nella musica e nella recitazione. Dapprima emarginato, in quanto privo di un posto sociale, diventa l’interprete del suo tempo nel XII secolo, insieme a diversi altri attori provenienti dal miscuglio degli antichi rituali pagani e che sono parte di una nuova festività: il ludus carnelevarii. Ancora una volta l’occasione della festa diventa tempo sociale, liberazione dai vincoli quotidiani e celebrazione in onore dei morti.
Dall’XI secolo fino alla rivoluzione industriale un altro luogo diventa centrale: la fiera mercantile. Qui si esibiscono giocolieri, ciarlatani, imbonitori del mercato, cantastorie, saltimbanchi, attori della Commedia
dell’Arte, burattini, marionette, pupi e tutto sotto gli occhi stupiti di migliaia di persone accorse da ogni dove.
Nella seconda metà del Settecento diventa popolare il circo equestre, attirando a sé come attori e spettatori
ogni genere di uomo e donna senza distinzione di età, sesso, colore, nazione, religione e fisicità. I circensi sono conoscitori di tutte le discipline tramandate dalla notte dei tempi e le insegnano dapprima ai propri
figli e poi in scuole dedicate. Una delle forze di questa forma d’intrattenimento è il suo linguaggio capace
d’essere compreso da milioni di persone, tanto che per molti è il primo spettacolo a cui assistono nella
loro vita. Si può parlare di linguaggio universale? Certamente si può dire che abbia elementi interni delle
varie culture e che la comunicazione non è rivolta a uno specifico gruppo sociale ma al maggior numero di
persone possibili. La comprensione o meno delle parti che lo compongono lo mettono all’interno o all’esterno del mondo che lo circonda, amato da alcuni e al contempo guardato con pregiudizio da altri. Il circo non è solo un luogo inclusivo e di integrazione ma anche di condivisione, partendo dalla risata che si spande attorno al cerchio della pista passando da persona a persona. Gli odori, i suoni, la luce sono inconfondibili e il pubblico di questo spettacolo vede sé stesso altrove in maniera amplificata, ove tutto è possibile, perché è possibile il contrario di tutto.
Questo e molto altro ancora ha attirato la mia fantasia prima e la curiosità dopo, finendo per diventare dal 2007 il mio progetto principale di ricerca dal titolo Piazze, Corti, Piste, Palcoscenici. Naturalmente l’idea
di questo progetto mi è diventata chiara per gradi e mi ha permesso di unire l’arte del ritratto alla poesia, la storia dell’intrattenimento alla cultura contemporanea. A dare la stura è stato il mio amore per l’arte della
ritrattistica, in particolare quella di strada e i primi tentativi li ho dedicati proprio a ritrarre quegli artisti che in piazza trovano spazio per esibirsi. Da dove viene quell’arte, chi gliel’ha insegnata, come si è evoluta,
chi l’ha inventata, queste sono ancora oggi le domande alle quali cerco di rispondere con il mio lavoro. I miei ritratti sono sia di persone reali, del mondo dello spettacolo o meno, ma anche e soprattutto ritratti
psicologici: reale è il costume, il trucco, il parrucco, la disciplina che interpretano in strada, in pista e a teatro. È reale l’emozione che cerco di restituire alle persone che li osservano negli occhi, viva e vissuta da
me, tanto che più che di ritratti si può parlare di autorappresentazioni: sono sempre io nei panni di tutti
questi personaggi. Un aspetto fondamentale della mia ricerca è dato dalla possibilità di interagire e stabilire relazioni con i membri di questi gruppi che, se da una parte sembrano chiusi in loro stessi, si dimostrano esattamente il contrario una volta avvicinati. La cultura sociale dell’artista di strada e del circense è come la loro lingua: anche se incompresa arriva a tutti, se le viene dato tempo.