di Alessandro Serena
Quest’intervista è parte del progetto Il circo italiano a Monte Carlo, che racconta i vincitori tricolore della più importante manifestazione circense al mondo. Scopri tutti i video, gli articoli e le interviste.
Cosa rappresenta Monte Carlo per la famiglia Casartelli?
Per ogni importante impresa circense, il Festival è un luogo dove andare a cercare numeri forti da ingaggiare per le prossime stagioni. È il momento in cui riflettere su dove sta andando il nostro mondo, sia dal punto di vista artistico che degli affari. Un appuntamento imprescindibile per chi è interessato all’arte della pista. Poi ci sono degli aspetti personali. Può sembrare difficile da credere, ma la famiglia Ranieri fa di tutto per far sentire importanti gli artisti di circo. Una dinastia come questa, così prestigiosa e facoltosa, ha deciso di mettere al centro dei suoi pensieri il circo. I Principi hanno un rapporto splendido con molte famiglie del viaggio. Sono venuti per esempio spesso a trovarci al circo accettando anche i nostri inviti a cena. È nato un rapporto bellissimo anche dal punto di vista umano.
Eppure, la prima partecipazione al Festival lasciò dell’amaro in bocca.
Fummo invitati già nel 1987. Io ero molto piccolo, avevo dieci anni, ma ho appreso tutto dai ricordi vividi di zio Davio, che in famiglia è un po’ la memoria storica del Festival. Portammo vari numeri, fra i quali una performance di elefanti davvero rara a vedersi, ispirata alle gesta di Annibale. Non vincemmo una statuetta importante, anche se Ranieri volle assegnarci un premio speciale per la maniera in cui erano trattati gli animali. Siamo venuti via con un certo rammarico, ma abbiamo trovato lo stimolo per continuare a migliorarci.
Nel 1996 siete tornati con la Festa del cavallo.
Tutti numeri equestri: alta scuola, libertà, jockey. Novità nella tradizione con attenzione all’eleganza e allo sfarzo. Lì è venuto fuori l’estro di zio Eros, fra noi il maestro dei cavalli. Eravamo molto giovani, alcuni ancora minorenni, quasi tutti allievi dell’Accademia d’Arte Circense, che fra l’altro ti dava ottime base acrobatiche e di portamento. Forse l’abbiamo presa con un atteggiamento più leggero, con divertimento, fatto sta che abbiamo vinto il nostro primo Clown d’Oro. Un’emozione grandissima.
Dopo oltre un decennio, nel 2007, la terza chiamata.
Eravamo in un momento particolare. La maggior parte della compagnia era ingaggiata al Circo Stabile di Budapest, mentre zio Davio, con gli elefanti, era in Francia da Arlett Gruss. Fu lui a mettersi d’accordo con Pilz e ce lo comunicò solo dopo aver firmato il contratto: torniamo a Monte Carlo. Di nuovo tutti al lavoro. Avremmo presentato la pantomima di Aladino, con elefanti e animali esotici nello stesso tableau. Poi due numeri di cavalli, uno in stile gitano ed uno con i tessuti aerei e i colori di Monaco dedicato alla compianta Principessa Grace Kelly. Più andavamo vicino alla meta, più si avvicinava il momento e più eravamo emozionati, si pensava ai costumi, agli attrezzi, al make up. Per fortuna c’è la zia Ghisi che si occupa di tutti questi aspetti.
E una volta arrivati a Monte Carlo?
Ad ogni invito abbiamo sempre cercato di rispondere con il massimo impegno. Siamo arrivati in Principato con una ventina di autoveicoli. La polizia ha bloccato tutte le strade per farci scendere dalla montagna verso il mare. Eravamo una quarantina di persone, ognuno con un ruolo preciso dentro e fuori la pista. C’è tanto lavoro da fare. Bisogna allestire le scuderie per gli animali, posizionare le roulotte, installare tutto. L’emozione sale ogni giorno di più, ogni ora di più. Poi, come per magia, quando entri in pista svanisce e pensi solo a dare il meglio. In un attimo diventi sereno, tranquillo e senti che potresti spaccare il mondo. La nostra partecipazione, in ogni suo aspetto, è stata immortalata da un vero e proprio documentario di Roberto Guideri, fra i massimi esperti di riprese video circensi. Così oggi anche i nostri figli e nipoti possono capire e gustare l’impresa.
Parlatemi del passo a due.
La novità sarebbe stata il passo a due equestre. Un grande classico della pista che però volevamo presentare in una formula originale. L’idea ci era venuta ammirando l’adagio acrobatico del duo di Guangzhou, entusiasmante, che aveva vinto l’Oro nel 2002. Dal punto di vista tecnico io ed Ingrid avevamo iniziato ad esercitarsi in alcune posizioni di equilibrismo già all’Accademia a Cesenatico, con due grandi coach: Ronny Jarz e Lucio Nicolodi. Uno dei loro motti era il classico “Impara l’arte e mettila da parte”. Ne abbiamo fatto tesoro. Ma oltre alla tecnica abbiamo curato ogni particolare della messa in scena, posizionando al centro della pista un pianoforte a coda che un professionista suonava dal vivo, mentre cantava My Way. Colori dominanti il bianco e il nero. È venuta fuori una performance davvero suggestiva. Con delle componenti anche di rischio. In particolare, l’esercizio di un piede sulla testa era piuttosto pericoloso e lo presentavamo con la “longia” (la cintura di sicurezza). Ma al secondo spettacolo di selezione, all’ultimo momento, decidemmo di eseguirlo senza. Lo zio Davio che ce l’aveva portata sino in pista rimase col gancio in mano e il naso all’insù. Forse fu l’ultima piccola spinta a convincere i giurati.
Quali sono stati i riflessi sulla carriera?
Tantissimi, anche se in una maniera un po’ particolare. Per la maggior parte degli artisti partecipareal Festival è un trampolino di lancio decisivo. Se vai bene lì hai una carriera garantita per anni. Fioccano i contratti nelle migliori case del mondo. Per noi questo aspetto non conta molto. Abbiamo un nostro circo e quindi non siamo alla ricerca di ingaggi altrove. Eppure, la sola esistenza del Festival ha significato moltissimo. Possiamo dire senza tema di smentita che solo la speranza di poter tornare a Monte Carlo nel futuro ci ha dato tanta forza, tanta voglia di migliorarci. E credo che sia così per tanti circensi nel mondo. Quando pensi alle nuove esibizioni, quando provi, quando ti prepari, da qualche parte dentro di te stai pensando a Monte Carlo. E questo da una forza incredibile.
È una fonte di ispirazione.
Lo è sempre stato per tutti noi. Vedere gli exploit dei Knie o dei Gruss ci ha motivato moltissimo. Mi ricordo poi l’emozione di quando il Alexis Gruss è venuto a salutarci e farci i complimenti. Chissà, magari è successa la stessa cosa anche per alcuni giovani nel guardare le nostre esibizioni. Sarebbe la soddisfazione più grande sapere che abbiamo in qualche modo motivato le nuove generazioni. Peraltro, in questi tempi, con l’avvento di Internet è più semplice tenersi aggiornati su quanto succede nel mondo.
Qual è il ricordo più bello?
Una delle cose più belle è stata, la sera della premiazione, accorgerci che nostra nonna, Wally Togni Casartelli, era seduta nel palco della famiglia principesca, proprio accanto ai Principi, in mezzo a loro. Nessuno di noi se lo aspettava. Un altro segno di amore di questa famiglia che fa così tanto per il circo. Il cuore ci batteva a mille. Ma anche il tempo di un sorriso, quando ci siamo avvicinati a lei, sottovoce ci ha detto: «Non c’è due senza tre». Ci ha lasciati nel 2014 e manca ancora tanto a tutti noi. In qualche modo era la memoria storica della dinastia. Bastava guardare lei e il pensiero andava subito a nostro nonno Leonida, a cui dobbiamo molto se non tutto. Sono stati una coppia straordinaria. Di lui parliamo ogni giorno, come fosse ancora qui. Nonno Leonida avrebbe fatto questo, avrebbe detto questo. Di certo sarebbe stato molto orgoglioso. Noi ci sentiamo una famiglia molto unita e, anche per i nostri avi, vogliamo fare di tutto per tenere alto il livello dell’arte circense, continuare ad innovare e sorprendere il pubblico, mantenendo sempre viva la nostra eredità familiare. E chissà, prima o poi, tornare a Monte Carlo.