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di Alessandro Serena

Iniziamo la pubblicazione di interviste esclusive della rivista CIRCO Classico con la conversazione fra Alessandro Serena e David Larible, uno dei più grandi clown di tutti i tempi. Era appena terminata la pandemia di Covid 19 e si sentono nelle parole di David gli echi di un momento difficile, ma affrontato con la sapienza e la sensibilità del grande artista.

Domani sarà il compleanno del Clown dei Clown, vogliamo essere i primi a dire: auguri David!

David Larible

Il clown è sempre una figura simbolica, in qualche modo bizzarro o lineare si può scegliere per raccontare il bene e il male di uno stesso argomento. Ne parliamo con David Larible, rimasto bloccato per mesi per Covid nella capitale mondiale del divertimento, Las Vegas. Ma capace anche da remoto di regalare sorrisi.

Uno dei più grandi del mondo o di tutti i tempi. Una formazione col padre Eugenio, grande maestro d’arte, e fra la segatura delle piste più classiche del nostro paese, quelle di Togni e Casartelli. A seguire il mondo, prima come outsider poi da stella assoluta. Quasi tre lustri da Ringling, due da Roncalli, le case più importanti del pianeta in Europa, Usa, Russia, Sud America. I premi più prestigiosi guadagnati sul campo e fuori concorso, persino una laurea honoris causa. Le tournée in importanti teatri di tutto il pianeta. Programmi televisive e pagine di giornali. Ma tutto ciò non lo ha salvato dalla più grande crisi del XXI secolo.

Ti trovi da qualche tempo dagli Hermanos Vasquez forse il più importante circo itinerante degli Stati Uniti dopo la chiusura di Ringling Bros. and Barnum & Bailey, come è andata da voi?

Vista a posteriori non possiamo lamentarci, ma all’inizio neppure io e la mia famiglia siamo sfuggiti alla condizione di “disoccupati da Covid”. Ci trovavamo a Donna, in Texas, quando sono cominciate ad arrivare le notizie di lockdown da tutto il mondo. Si fermava persino il Soleil. Nello stato meridionale americano si è resistito ancora per qualche giorno. Poi anche lì è arrivata l’ordinanza di chiusura. Dapprincipio pareva che sarebbe stato per poco. Tutti gli artisti ed il personale sono rimasti in piazza, sperando di poter riprendere in tempi brevi. Però man mano la situazione peggiorava. Abbiamo così vissuto anche noi le stesse incongruenze di gran parte del mondo: supermercati presi d’assalto, carenza di generi primari, persino della carta igienica. Non pensavo di dover vivere momenti simili. Avevo sentito cose del genere dai nostri vecchi, riguardo a periodi bellici, ma mai immaginavo di doverci passare. L’atmosfera cominciava a farsi pesante. È da considerare che alcuni dei componenti del cast arrivavano davvero dall’altra parte del mondo ed erano preoccupatissimi, sia per le condizioni dei famigliari che erano a distanza considerevole che per il loro futuro. Infatti non si aveva nessuna idea di quando si sarebbe potuti ripartire.

Per fortuna la proprietà del circo, la famiglia Vasquez è riuscita ad aiutare in qualche modo la maggior parte degli ingaggiati, fra artisti e personale, anche se qualcuno per motivi famigliari ha deciso di rientrare a casa, quando è stato possibile. Inoltre il governo americano ha ben presto erogato ristori.

Comunque un momento difficile.

Molto. E intanto i Vasquez avevano ovviamente calato lo chapiteau. È stato un periodo davvero surreale. Eravamo fermi in piazza senza il simbolo della nostra vita. Credo che la gente del circo abbia una forte capacità di reagire alle avversità della vita. Ho conosciuto direttori ai quali è volato il circo ripartire dopo pochi giorni, magari con uno chapiteau in prestito da un collega. Artisti che avevano perso un famigliare magari proprio in pista, lavorare e sorridere al pubblico poche ore dopo pur con la morte nel cuore. Ostacoli di ogni tipo superati di slancio, trovando sempre il modo di ripartire. Questa volta invece non era proprio possibile. La gente del circo era disarmata.

Lo chapiteau del Circo Vasquez

Siete rimasti fermi a lungo?

Io e la mia famiglia, dopo qualche tentennamento, qualche incertezza, quando si è capito che la pausa sarebbe stata lunga, siamo rientrati a Las Vegas, dove da qualche anno abbiamo casa. Un bel paradosso: la città per antonomasia del divertimento era in effetti spettrale. Devo dire che, pur se continuavano ad esserci delle restrizioni, almeno avevamo le comodità di un’abitazione confortevole.

E stavamo molto tempo insieme, è raro per noi, perché c’è sempre qualcuno che per qualche contratto si allontana. Inoltre io ho profittato della pausa per cercare di rimettermi in forma. Camminavo, stavo immerso in acqua, cucinavo, mi prendevo cura di me stesso. Insomma tutto sommato posso considerarmi un fortunato. Eppure sono stati forse i tre mesi più lunghi della mia vita.

La giornata bene o male passava, ma quando arrivava il tramonto mi veniva una specie di depressione diffusa. Ad un orario vago che però poteva essere quello dello spettacolo. Mi sentivo perso, senza scopo.

Per fortuna avete ripreso in fretta.

Ad un tratto è successo qualcosa che pareva quasi un miracolo. Abbiamo ripreso a lavorare mentre in quasi tutto il mondo in pochi tornavano in pista. Ripeto che mi considero

un fortunato. I Vasquez hanno ben esplorato le normative e hanno riaperto nel rispetto delle regole, seppure all’inizio con varie restrizioni. Comunque da luglio 2020 sono riusciti a lavorare in pratica sempre, pur rispettando la consueta pausa natalizia, che a noi sembra una stranezza ma che negli Usa

è una consuetudine. Estate e autunno 2020 li abbiamo passati in Texas, in particolare nell’area tra Houston e Dallas. All’inizio appunto con alcune restrizioni e la capienza del circo ridotta al 50%. Devo dire che il circo ha sempre lavorato molto bene spesso con sold out pur se relativi alla capienza del momento. Quest’anno poi abbiamo già fatto Chicago, Atalanta, Washington, Philadelphia. Adesso ci troviamo nell’area di New York e devo dire che è un piacere avere lo chapiteau agibile al 100% senza neppure più l’obbligo delle mascherine. Tu sei stato fra quanti hanno affermato il lavoro con gli spettatori come partner. Hai trovato delle difficoltà? In effetti quando Vasquez ha riaperto non era possibile avere un contatto diretto con la gente. Ed era strano riprendere a lavorare mantenendo una certa distanza con gli spettatori. Per fortuna ho un repertorio piuttosto ampio anche senza l’utilizzo del pubblico, quindi all’inizio ho semplicemente presentato dei numeri da solista o con spalle consuete, come “gli strumenti”, il My Way (la mia più recente creazione), o “l’acqua” ma con un bambino del circo. Devo dire però che c’era qualcosa che non andava. Lavorare con persone normali, infatti, non solo diverte molto loro, ma dato che è diverso ogni sera, rinnova molto anche me. Le variabili che inevitabilmente nascono rendono questo tipo di performance ogni volta diverso, tanto che molti degli artisti del cast vengono a vedermi ogni sera proprio perché ci sono sempre spunti nuovi. Appena possibile quindi ho ripreso a presentare almeno quei numeri che potevo realizzare con qualche cautela. Per esempio l’entrata dei campanelli, uno dei miei classici, la realizzavo lasciando gli spettatori seduti e senza toccarli. Inoltre ognicampana era dentro un sacchettino di plastica disinfettato e gli spettatori mantenevano le mascherine. Che cosa strana, ma era già un sollievo! Ora invece anche da questo punto di vista siamo tornati alla normalità, tutt’al più qualcuno tiene ancora la mascherina, per estrema cautela. Ma una volta che inizia a ridere la abbassa pure lui…

Quindi non hai perso lavoro.

Non è del tutto vero. Ho perso contratti importanti. Per esempio avrei dovuto essere nel cast dello spettacolo per il centenario del grande clown russo Yuri Nikulin, fatto che, oltre a rappresentare un buon ingaggio, per me aveva un valore simbolico inestimabile. Però il figlio del grande clown, Maxim ha deciso di posporre la produzione proprio per poter contare su di un maggiore afflusso di pubblico. Mi è davvero dispiaciuto. Inoltre di solito scavallo l’anno in qualche grande produzione natalizia, ma non ce ne sono state in pratica nessuna. Insomma, ho risentito anch’io della pandemia.

Come credi abbia reagito il mondo?

A mio parere non c’è stata un’unica modalità. Ognuno ha reagito alla sua maniera, forse secondo le proprie possibilità, forze, debolezze.

Dal punto di vista pratico, ci sono stati degli spunti interessanti. È di sicuro emersa ancora più forte la valenza aggregatrice della rete, sono sbocciate come fiori le iniziative in streaming. In alcuni casi con numeri impressionanti. Per esempio gli amici Fuentes Gasca, attivi in prevalenza fra Messico e Colombia, hanno mandato online alcune delle loro produzioni realizzando centinaia di migliaia di visualizzazioni: incredibile. C’è da dire che erano realizzate molto bene, con numerose telecamere e una regia da fare invidia alle prime serate Tv, inoltre sono personaggi molto noti ed amati in Sud America.

Ma ci sono state anche moltissime operazioni di streaming magari piccole, rivolte ad un numero infinitamente minore di fruitori, ma comunque con un grande senso in quel momento.

Io sono stato coinvolto in innumerevoli trasmissioni, dialoghi, interviste, dibattiti. La qualità dei quali forse non era omogenea, c’erano cose ben strutturate e altre più simili a semplici chiacchiere fra amici, come col celebre clown cileno Pastelito. Ma in quel momento di sicuro ciascuna di queste attività era ben apprezzata da chi ne fruiva e da chi vi prendeva parte.

Ci sono state poi tante mobilitazioni e raccolte fondi per artisti più sfortunati che il Covid aveva portato a situazioni estreme difficoltà e che permettevano di far arrivare piccoli grandi aiuti. Io stesso ne ho promosse alcune per dei conoscenti che avevano dovuto chiudere il circo e magari di fronte ad esso aprivano un banchetto e vendevano da mangiare o palloncini, soprattutto in Sud America.

Come vedi il presente e il futuro prossimo?

In effetti non si può ancora parlare di normalità. Molte case fanno tuttora fatica. A Las Vegas non ci sono per il momento i soliti pienoni. E anche in Europa c’è molta incertezza. Alcune grandi produttori non hanno ancora pianificato cosa fare per il natale. Persino un complesso come Roncalli non solo non ha per il momento riaperto ma neppure ha annunciato quando lo farà. Quindi dal punto di vista pratico ci sono ancora molte difficoltà.

Dal punto di vista umano, speriamo che questa esperienza abbia insegnato qualcosa, perché a volte c’è il timore che il genere umano non abbia imparato niente, e che non appena si tornerà alla normalità, ci si dimenticherà di tutto. Una qualche consolazione può venire da quello che si vede nello sguardo degli spettatori, dopo il tragico periodo passato, mi pare di leggere nei loro occhi, non più solo un apprezzamento, una gioia passeggera, ma addirittura della gratitudine. La conferma ce l’ho quando vengono a salutarmi dopo lo spettacolo, prima la gente veniva a fare i complimenti adesso viene a dire “grazie”. Questo può farci guardare al futuro con la constatazione che alla fine c’è sempre e ci sarà ancora di più il bisogno di spettacoli realizzati col cuore. Proprio come il circo.

Articolo tratto dal settimo numero della rivista Circo – Speciale pandemia del secondo semestre 2020