di Alessandro Serena
Il legame fra circo e sport è più antico, profondo e mutuamente proficuo di quanto si possa immaginare. Proviamo a capirci qualcosa. Una delle definizioni più calzanti del circo è quella di Massimo Alberini (1909-2000), per mezzo secolo critico circense del Corriere della Sera: “Un insieme di virtuosismi del corpo, esibizioni di animali e clownerie che si svolgono in una pista rotonda.” Quindi l’essenza si riferisce a tre manifestazioni dell’essere umano. I virtuosismi del corpo sono in relazione al tentativo di superare i propri limiti. L’ammaestramento di animali è in relazione al desiderio di incontrare l’altro da sé. La clownerie è in relazione alla capacità di superare il fallimento e ridere di tutto ciò.
In occidente uno dei primi libri sul tema è del 1589. Si tratta di Trois Dialogues de l’exercice de sauter et voltiger en l’air dell’italiano Arcangelo Tuccaro, con dedica al re del reame di Napoli: un manuale per tenere in allenamento i combattenti a riposo che conferma l’attiguità dei generi anche in quel periodo storico.
Il circo ed il suo cugino, il teatro di varietà, vivono il momento d’oro proprio nell’era dell’avvento dello sport, fra l’Otto e il Novecento. Basti pensare che nel 1896 vennero tenute le prime Olimpiadi moderne della storia e nacque la Gazzetta dello Sport. A quei tempi acrobati e atleti frequentavano spesso gli stessi luoghi di allenamento utilizzando metodi di training fisico distinti ma con molte similitudini. Nel 1902 Alberto Zucca, “insegnante di ginnastica nelle Scuole normali e governative del Regno”, pubblica Acrobatica e atletica per i tipi di Hoepli, nel quale elenca le tecniche della gente di spettacolo e dello sport.
Del resto in quel periodo e nei decenni successivi, in particolare in Italia, molti ginnasti si convertirono in artisti di circo, fondando alcune importanti dinastie circensi. Walter Nones, il marito di Moira Orfei, è figlio di uno sportivo trentino caduto ai piedi di una bella acrobata.
Non sempre è necessario inventarsi un numero, spesso gli sportivi sono entrati sotto il tendone con match dimostrativi (come dimostrano gli studi dello storico Marco Martini). Così grandi circhi fra l’Otto e il Novecento hanno ospitato campioni di lotta libera, stelle del sollevamento pesi, persino podisti e molto spesso pugili, fra i quali addirittura la gloria italiana Primo Carnera, attirando folle di appassionati. Negli anni ’50 è nata una disciplina chiamata Acrosport che al contrario presenta esercizi di acrobatica circense codificati in differenti formazioni: duetti femminili, maschili e misti, terzetti femminili e quartetti maschili.
In seguito il fulcro della contiguità fra artisti e ginnasti si sposta a est, quando Mosca diviene celebre per il Circo di stato. Lì, a partire da metà del secolo scorso, i registi fanno man bassa di ex ginnasti catapultati, è proprio il caso di dirlo, sotto le luci dei proiettori. Di recente questa pratica è stata ripresa dal canadese Cirque du Soleil, i cui responsabili del casting visitano le competizioni sportive alla ricerca di talenti.
Altri punti che accomunano circo e Olimpiadi e ne accrescono il fascino sono la grande varietà e difformità delle discipline, la conseguente diversità dei tipi fisici, le specialità nazionali o geografiche. I lottatori di sumo sono orientali, i trapezisti sudamericani, gli spadaccini italiani, i giocolieri spagnoli. Per anni gli unici cinesi che si vedevano per il mondo erano acrobati o campioni di ping pong. Persino il lato oscuro del circo, quello del Side Show, dei freak, è in qualche modo presente alle Olimpiadi. Ci sono giganti (i giocatori di basket), nani (i fantini), donne cannone (le nerborute lanciatrici del peso) e così via, ma sia al circo che nello sport i paradossi fisici hanno un senso profondo e fanno capire che nella vita c’è posto per ognuno, che la perfezione è un concetto vago e che piuttosto vanno premiati impegno e costanza.
Infine la clownerie. Sembra essere il punto più distante fra circo e sport. In realtà il contatto è semplicemente più profondo e meno facile da intuire. Il clown, al circo, è in sostanza l’uomo che fallisce, che inciampa, che arriva ultimo. Ma che è capace di ridere di tutto ciò, o quantomeno di farsene una ragione e trovare la forza per ripartire. Certo, quando vediamo Dorando Pietri tagliare il traguardo stremato non ci viene da ridere. Ma la sostanza è quella. Il clown ci ricorda la fragilità dell’essere umano e interpreta alla perfezione il motto di De Coubertin: “L’importante non è vincere ma partecipare.”
L’articolo compare su Hystrio.