di Antonio Buccioni
Il circo del terzo millennio è una forma d’arte e d’impresa con mille declinazioni diverse. Eppure, quello che da oltre mezzo secolo l’Ente Nazionale Circhi cerca di tutelare, il modello del classico, tradizionale chapiteau a conduzione prevalentemente familiare, è soprattutto un’arte popolare. Nel senso più nobile e antico del termine, ovvero destinata ad una fruizione da parte del popolo e non di una élite.
La presenza di un pubblico di estrazione popolare è un modus che celebra, del resto, la storia plurimillenaria dello spettacolo. Per fare riferimenti importanti, persino Aristotele e Nietsche notavano, riallacciandosi alle origini, come lo spettacolo avesse avuto un’origine popolare e in buona parte sacrale. Lo stesso termine “tragedia”, del resto, viene dal greco “tragos odé’”, all’incirca “canto del capro” o “per il capro”, una manifestazione di certo collegata a riti pagani da considerarsi aperta ad un gran numero di persone, oggi diremmo per la massa. Da qui parte la riflessione sul contenuto sociale. Rimanendo nelle citazioni dotte, il circo classico, con il suo carico di diritti e doveri, la sua accezione di lavoro di gruppo, la valenza del nucleo familiare, pur nei significati più vasti, parrebbe ispirarsi e realizzare, in qualche modo spontaneo, l’utopia de La repubblica di Platone. Un’idea ripresa, fatti salvi i contesti storici e le aree geografiche diverse, anche da La città del sole di Campanella. Un’aspirazione dell’uomo ad una patria ideale, un anelito vecchio come il mondo, presente però ancora oggi in molti di noi. Tale modello diventa la base di partenza indispensabile e inesorabile per ogni tipo di circo “diverso”. Tutto quanto raccontato in questo numero speciale della rivista è in qualche modo una derivazione del classico.
Non c’è dubbio che da molto tempo il circo rappresenti ed esprima una valenza sociale assoluta anch’essa rintracciabile in innumerevoli esempi, sia in tempo di pace che di guerra. È acclarato che, anche nei conflitti del XX secolo, il Circo internazionale, considerato come fenomeno complessivo, abbia lenito le pene di una comunità mondiale e, nelle forme più diverse, abbia contribuito a salvare vite, evitare stragi. Abbia posto in essere tutta una serie di comportamenti che hanno contribuito a limitare la portata dei disastri. Calandoci nella realtà italiana e mondiale questo segmento delle arti dello spettacolo dal vivo arriva alla nostra contemporaneità e si affaccia sul futuro. Il significato dello slogan “un circo per tutti” si può riferire già alla manifesta diffusione di forme, fra loro diversissime, ma a copertura dell’intero pianeta. In quanto all’inclusione, il circo comprende ed interpreta appieno il superamento delle barriere nei confronti del fenomeno complessivo della diversa abilità fisica e psichica. Al di là e al di qua della barriera. Oggi la diversa abilità può essere in grado complessivamente di realizzare delle produzioni non già ad esclusiva cura di diversamente abili, ma a livello di massima compenetrazione di ruoli con la normodotalità. Da sempre si sostiene come il circo sia momento di sintesi di religioni diverse, razze diverse, lingue diverse, culture diverse. Dobbiamo aggiungere di stati sociali diversi. Una nuova universalità che si aggiunge a quelle materializzate nel tempo. Insomma, laddove oggi superficialmente il circo potrebbe essere considerato una nicchia presentata e fruita da pochissimi, una più attenta analisi del fenomeno ci dimostra esattamente il contrario. Il patrimonio complessivo che il circo esprime è compenetrato nella società di tutto il mondo e nelle più diverse forme. Quello che si celebra su queste pagine è proprio questo significato esteso di un Circo per tutti.