Si è esibito davanti a Winston Churchill, al re Edoardo VIII, Grace Kelly, Maria Callas. E’ stato in cartellone nei più blasonati teatri di varietà del mondo. Con Grock e Édith Piaf. E’ il Silvan della giocoleria. Per la prima volta si racconta. Da quando, a dieci anni, lanciava verso il cielo i suoi anelli davanti al pubblico. Il maestro Rastelli e l’allievo Nando Orfei. Intervista ad Angelo Piccinelli. Pardon, Picinelli. Anzi, Picenelli.
Quando il mondo veniva catturato da fotogrammi in bianco e nero, Angelo Piccinelli era già un giocoliere di fama internazionale. Anzi, un “jongleur prodige” oppure un “jongleur-wunder”.
Le sue fotografie dell’epoca brillano di una luce e di una signorilità incredibili, come quelle dei miti hollywoodiani del cinema. Alto, elegante, dai tratti nobili, Angelo Piccinelli è stato il gran signore della giocoleria fra gli anni 30 e 50 del secolo scorso. Detta così sembra storia passata, e invece no. Anzitutto perchè il protagonista gode di ottima salute, ha 94 anni, una memoria di ferro, vive a Roma insieme alla moglie Dolores Monni e conversare con lui dei trascorsi è un piacere. E poi perché avendo raggiunto certe vette in ambito professionale, un posto di primo piano nella storia della giocoleria se lo è ritagliato per sempre. Walter Nones, anni fa raccontando i suoi inizi ha detto: “Io intanto mi esibivo qua e là come giocoliere, ispirato dall’elegante Angelo Piccinelli, ma lontano dal raggiungerne il livello”. Un tratto dell’artista che trova conferma anche dal diretto interessato: “Avevo impostato il mio numero sull’eleganza. Da questo punto di vista mi potrei paragonare a quello che è stato ed è ancora il mago Silvan nel campo dell’illusionismo. Si presenta con signorilità, ed io facevo lo stesso con la giocoleria”.
Tre cognomi un solo grande artista
Non si sa da dove cominciare per raccontare, almeno a grandi linee, l’avventura artistica di quest’uomo. Ma forse è bene partire dal cognome, anzi, dai cognomi. Lo troverete in versione Picinelli e Piccinelli. Ma all’anagrafe si chiama Angelo Picenelli.
“E’ stato sempre un tormento”, racconta. “Sono nato a Bruxelles e quando hanno trascritto il mio cognome in Italia anziché Piccinelli l’hanno trasformato in Picenelli, si sono sbagliati. Ma siccome non mi piaceva, mi sono sempre fatto chiamare Picinelli”. Con una sola c. Così lo si trova sui programmi dei più blasonati teatri di varietà di mezza Europa. E’ annunciato come “der italienische Meisterjongleur” al Plaza di Berlino. Spesso si è parlato di lui come dell’emulo di Rastelli, ma non bisogna dimenticare che il re della giocoleria è morto nel 1931, quando Angelo aveva solo dieci anni.
Una carriera all’estero
E’ venuto al mondo il 3 novembre 1921. La sua carriera si è svolta quasi esclusivamente nei cosiddetti teatri di arte varia e nei cabaret di grido, oltre a qualche casinò. Circhi poco o nulla. “Un mese da Krone, al Medrano di Parigi e in Italia da Orfei”. Basta. In quest’ultimo caso soprattutto per una ragione affettiva: “Conobbi Liana e ci fidanzammo, ma siccome io ero spesso all’estero, la mamma di Liana mi disse: Angelo vieni a fare una stagione da noi, così potrete anche conoscervi e decidere meglio sul vostro futuro. Annullai i contratti che avevo e feci una stagione dagli Orfei a metà degli anni 50. Ci sposammo nel 56 a Napoli” e, aggiunge con un sorriso di soddisfazione, “nacque lei”. Lei è Cristina, seduta in salotto mentre il papà srotola il nastro della sua vita e che è stata decisiva per farci incontrare Angelo Piccinelli. “Ci siamo sposati nella gabbia dei leoni”, dettaglia con un altro sorriso. “Poi purtroppo le nostre strade si sono divise”. Già appena sposati i due ci rimasero poco nel Belpaese: “Dopo pochi giorni in viaggio di nozze a Montecarlo, andammo a lavorare per sei mesi al Moulin Rouge di Parigi”. Insieme sotto i riflettori, lui jongleur e “lei mi assisteva”. A proposito della data del matrimonio, online si trovano clamorosi errori: anche sulla pagina di Wikipedia dedicata a Liana Orfei si legge: “Andata sposa ancora giovanissima nel 1954 al giocoliere Angelo Piccinelli”.
A 15 anni al Medrano e poi nei grandi teatri di varietà
Si diceva del Medrano. Difficile crederlo, soprattutto vivendo in tempi nei quali la disoccupazione giovanile ha superato il 40 per cento, ma Angelo Piccinelli approdò nel leggendario tempio francese dell’arte circense davvero giovane e grazie ad una talent scout assai particolare: “La moglie di Grock mi vide lavorare a Torino nel 1936 e mi disse: ti porto al Medrano di Parigi. Avevo 15 anni”. Fu un trionfo. “Ero una delle vedette del Medrano”, dice lui col tono di voce bassa e senza gonfiare il petto. Poco più che adolescente e praticamente una stella della giocoleria.
Una vita lontana dall’Italia, quindi, con qualche rapida incursione in patria per rivedere la famiglia. Il nome di Piccinelli, spesso scritto in caratteri più grandi degli altri artisti in programma e con l’intervento tipografico del grassetto (o bold che dir si voglia) per evidenziarlo ulteriormente, è l’attrazione di richiamo al Wintergarten e alla Scala di Berlino (qui si esibirono anche Rastelli e Grock), al Lido di Parigi, al China Teatern di Stoccolma, al Pasapoga in Spagna, al Palladium e al Savoy Hotel, al Prince of Wales e pure all’Hippodrome di Londra, che fu contenitore di circo per un breve periodo e dal 1910 al 51 divenne un famoso teatro e music hall. Nomi che oggi ai più dicono poco ma che hanno fatto la storia del varietà.
Scherza Piccinelli, ma dice la verità quando motiva la sua ascesa lontano dall’Italia: “Devo farmi qualche complimento”, esordisce. “Essendo diventato bravino costavo caro e cosa mi poteva offrire l’Italia? In più all’estero c’erano già grandi teatri affermati di varietà e poi avevo un bravo impresario a Parigi”. Ma nel centro nord non mancano luoghi che hanno visto anelli e sfere di Piccinelli roteare in aria e incantare il pubblico: “Ho lavorato alla Casina delle Rose a Roma, nei Casinò di San Remo, Venezia e Campione”.
Venuto al mondo in una famiglia di circo
I genitori di Angelo hanno un’arena e lui comincia subito. Si chiamano Francesco e Luigia Pellerino. “A 10 anni lavoravo già, non solo in famiglia ma anche fuori, ad esempio dai Palmiri, che poi ho ritrovato in Germania in diverse città”.
Il papà Nino fa numeri di forza, come testimonia la fotografia. Il fratello Fulvio è un eccellente equilibrista e si è esibito insieme ad Angelo in diversi teatri europei. “Mio papà aveva un sacco di attrezzi e anche mio fratello, allora c’era l’esigenza di trovare per me un numero con pochi arnesi del mestiere da trasportare, possibilmente da contenere in una valigetta”. Prese vita così la vocazione da jongleur di Angelo Piccinelli. Quasi per caso. Ma il destino ci ha messo del suo perché, come dice lui, “senza la predisposizione non si fa nulla, vale per le discipline del circo come per ogni altra professione”.
La difficile arte della giocoleria e il maestro Rastelli
“Fra tutte le discipline circensi, la giocoleria è la più difficile e bisogna avere una grande passione”. Non ha dubbi Angelo Piccinelli. “Nelle altre discipline in due o tre anni si mette insieme un bel numero, ma nello stesso tempo non si diventa di certo un bravo giocoliere. Io ho impiegato una decina d’anni …”
Se gli si chiede chi sono stati i suoi maestri, non ci pensa un minuto: “Enrico Rastelli, indubbiamente lui. Lui, lui, lui…”, ripete. “Pensandoci adesso posso dire che prima di Rastelli il giocoliere era addirittura ridicolo. Veniva fuori con la tuba, la palandrana, si levava i guanti e cominciava ad armeggiare con quattro palline. Poi è arrivato Rastelli, calzoncini corti, scatenato, con numeri da lasciare a bocca aperta, una cosa pazzesca, ha rivoluzionato la giocoleria. E in seguito si è evoluta ulteriormente, basta vedere i giovani giocolieri dove sono arrivati. Penso a Anthony Gatto, quando l’ho visto al Golden Circus mi si sono rizzati i capelli in testa, è stato certamente il numero uno, adesso non sono più aggiornato. Prima di Rastelli si era arrivati a giocolare 5 o 6 palline, Rastelli 8.
Una palla sulla testa, lui due”. Cerchi in aria, uno al piede, la palla sulla testa e saltava sulla corda che facevano girare il cognato e la moglie. “Un fenomeno Rastelli”. Anche lui profeta in terra straniera. “In Germania quando è morto il teatro dell’Opera di Berlino ha chiuso per lutto. Si immagini se oggi la scala di Milano dovesse chiudere per lutto se muore un giocoliere. Altre epoche”.
Fra quelli che hanno lasciato il segno mette anche Francis Brunn, giocoliere tedesco, “che però finita la guerra è andato in America e ci è rimasto, è tornato in Germania praticamente quando ha sentito che era giunta la sua ora”. E’ morto a Francoforte nel 2004: “E’ stato grande”. In alcuni resoconti si legge che Brunn ha imparato molto da Piccinelli. “Ha copiato molto da me, però poi aveva cambiato, la pura giocoleria che facevo io l’aveva eliminata anche perché molto difficile e privilegiava esercizi con la palla”. E in Italia, limitandosi a tempi recenti, “Bertino” Sforzi: “Ci sentiamo abbastanza spesso, lo considero molto bravo”.
A proposito di giovani, invece, a Piccinelli non sono sfuggiti quelli dell’ultima generazione, usciti dall’Accademia d’Arte Circense di Egidio Palmiri: “Willy Colombaioni lo conosco, è un ottimo giocoliere”.
Il fascino della giocoleria non muore
“Sembra assurdo che al giorno d’oggi un ragazzo voglia diventare giocoliere, eppure ne vedo di bravi che non hanno nemmeno una famiglia circense alle spalle”, commenta stupito Angelo Piccinelli. Ma la domanda che torna più volte nel corso della conversazione è molto pragmatica: “Dove vanno a lavorare oggi i giocolieri? Ai miei tempi c’erano centinaia di teatri di diversa categoria oltre a circhi sempre pieni, ma adesso?” Che cosa attira i giovani alla giocoleria? “Forse un certo fascino romantico, ma molti non sanno che si tratta di una professione come un’altra, anzi nel circo se sei bravo riesci altrimenti no, non si eccelle per raccomandazione, così come un soprano o un tenore senza voce puoi raccomandarli anche al papa ma non andranno lontano”.
Nando Orfei, giocoliere da guinness alla scuola di Piccinelli
Ha avuto degli allievi Angelo Piccinelli? Uno sicuramente sì. E che allievo! Risponde al nome di Nando Orfei: “L’ho guidato io, gli ho proprio insegnato quello che facevo ed è stato bravissimo nell’apprendere”. Succedeva quando il giocoliere già celebre era al circo Orfei, alla vigilia delle nozze con Liana. Pochi sanno che Nandino apprese così bene l’arte che “arrivò a giocolare 10 cerchi durante le prove. Partiva con gli otto cerchi e due li teneva alla vita appoggiati in una cintura e una volta che aveva lanciato gli 8 faceva in tempo a prendere gli altri due e a fare un passaggio. Era un bravissimo ragazzo, serio, un bravo artista, un bravo direttore e un bravo papà. Un aspetto di lui mi ha impressionato: quando arrivava in una piazza prendeva il camioncino, caricava tutti i bambini del circo e li portava al cinema o al bar. Stravedeva per i bambini. Un angelo”.
I ricordi più belli e due esperienze cinematografiche
Sono tanti i ricordi che si affastellano nella memoria. Fra quelli più belli le personalità che lo hanno applaudito. “Due volte venne a vedermi Hitler, quando lavoravo all’Apollo di Norimberga e alla Scala di Berlino. A Londra Winston Churchill, al Lido di Parigi il re Edoardo VIII. Al Club Méditerranée di Montecarlo Grace Kelly e Ranieri, Onassis, Maria Callas e il marito Giovanni Meneghini”.Ma emozionante è stato anche trovarsi in cartellone a Parigi coi Platters e con Édith Piaf che si esibiva in un circo. Una gratificazione? “Ho avuto molte soddisfazioni dal mio lavoro, ma forse vedere la facilità con la quale il mio impresario chiudeva i contratti”. E pare senza fatica, considerato il talento del giocoliere.
Angelo Piccinelli ha provato anche l’esperienza del set cinematografico. Una volta in “Guardatele ma non toccatele”, film del 59 diretto da Mario Mattioli, con Johnny Dorelli, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Fred Buscaglione e tanti altri, compresa Liana Orfei. Un’altra in “Trapezio” con Gina Lollobrigida e Bud Lancaster. In entrambi ovviamente nel ruolo di giocoliere. “Nel primo eseguo due o tre esercizi, nel secondo furono tagliate molte parti rispetto al girato e di mio è rimasto davvero poco”.
Quando Piccinelli si affaccia sulla settima arte è ormai al termine della sua carriera di giocoliere. “L’ultimo spettacolo l’ho fatto in Kuwait”. Perché ha smesso così presto? “Cominciavo a fare fatica a tenere il passo, ed ero tentato di prendere delle scorciatoie togliendo qualche esercizio difficile. Ma mi sono detto: preferisco che il pubblico ricordi Angelo Piccinelli e non una brutta copia”.
Claudio Monti